Una vita dedicata all’insegnamento e ai poveri, quella di Alfonsa Clerici, la religiosa delle Suore del Preziosissimo Sangue di Monza che sabato mattina è stata beatificata nel Duomo di Vercelli, nel corso di una solenne celebrazione presieduta da mons. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e prossimo cardinale. In questa città la religiosa fu chiamata a svolgere la sua missione.
La chiamavano il “sorriso dell’anima” perché la sua, in unione piena e incondizionata con il Signore, in totale adesione al piano divino, certamente sorrideva e perché faceva sorridere le anime di tutti coloro che entravano in contatto con lei: dalle alunne alle quali si dedicò attraverso l’insegnamento, ai poveri. Primogenita di dieci figli di una famiglia contadina del Milanese, Alfonsa Clerici, nata nel 1860, ebbe un’educazione essenziale e cristiana, che contribuì a plasmare quella “pedagogia della dolcezza” che applicava soprattutto ai caratteri più difficili, negli anni dell’insegnamento prima da laica e poi da religiosa delle Preziosine, quando fu chiamata come responsabile del “Ritiro della provvidenza”, come ci ricorda mons. Amato:
La Beata suor Alfonsa aveva come programma non tanto la repressione delle mancanze, quanto la prevenzione delle mancanze delle giovani. Il tutto accompagnato da una grande pazienza e carità.
I poveri erano l’altra sua grande passione: ad essi non rifiutava mai di donare con gioia e spirito di carità. Nessuno di coloro che la cercavano se ne andava via a mani vuote, ma con almeno un pezzo di pane, una moneta, una carezza o una parola di conforto:
Soleva dire che essere caritatevoli con i poveri significava servire e amare Gesù. Quando qualcuno ribatteva che anche la Casa della Provvidenza era povera e che con le continue elemosine che lei faceva ne soffriva, replicava: "più si dà ai poveri e maggiore Provvidenza entra in casa".
Madre Alfonsa, da direttrice dell’Istituto della Provvidenza, si trovò ad affrontare anche una sfida simile a quelle di oggi: risanare una crisi economica della struttura dovuta a una cattiva gestione esterna. Fu un riordino economico, ma anche un rinnovamento spirituale e del metodo educativo, di una comunità “da riformare, ma non da disperdere”. La religiosa, con pazienza e con la preghiera, vinse anche questa sfida, applicando la sua particolare ricetta dell’umiltà:
A una ex-alunna, diventata novizia scrisse: ‘Se tu mi chiedessi quale via devi prendere per farti Santa, ti dirò: l’Umiltà. La seconda via è l’Umiltà, la terza ancora l’Umiltà’. Era talmente abitata da questa virtù che s’impegnò con voto alla pratica dell’umiltà”.
Una vita dedicata all’insegnamento e ai poveri, quella di Alfonsa Clerici, la religiosa delle Suore del Preziosissimo Sangue di Monza che sabato mattina è stata beatificata nel Duomo di Vercelli, nel corso di una solenne celebrazione presieduta da mons. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e prossimo cardinale. In questa città la religiosa fu chiamata a svolgere la sua missione, come ci racconta Roberta Barbi:
La chiamavano il “sorriso dell’anima” perché la sua, in unione piena e incondizionata con il Signore, in totale adesione al piano divino, certamente sorrideva e perché faceva sorridere le anime di tutti coloro che entravano in contatto con lei: dalle alunne alle quali si dedicò attraverso l’insegnamento, ai poveri. Primogenita di dieci figli di una famiglia contadina del Milanese, Alfonsa Clerici, nata nel 1860, ebbe un’educazione essenziale e cristiana, che contribuì a plasmare quella “pedagogia della dolcezza” che applicava soprattutto ai caratteri più difficili, negli anni dell’insegnamento prima da laica e poi da religiosa delle Preziosine, quando fu chiamata come responsabile del “Ritiro della provvidenza”, come ci ricorda mons. Amato:
“La nostra Beata aveva come programma non tanto la repressione delle mancanze, quanto la prevenzione delle mancanze delle giovani. Il tutto accompagnato da una grande pazienza e carità”.
I poveri erano l’altra sua grande passione: ad essi non rifiutava mai di donare con gioia e spirito di carità. Nessuno di coloro che la cercavano se ne andava via a mani vuote, ma con almeno un pezzo di pane, una moneta, una carezza o una parola di conforto:
“Soleva dire che essere caritatevoli con i poveri significava servire e amare Gesù. Quando qualcuno ribatteva che anche la Casa della Provvidenza era povera e che con le continue elemosine che lei faceva ne soffriva, replicava: più si dà ai poveri e maggiore Provvidenza entra in casa”.
Madre Alfonsa, da direttrice dell’Istituto della Provvidenza, si trovò ad affrontare anche una sfida simile a quelle di oggi: risanare una crisi economica della struttura dovuta a una cattiva gestione esterna. Fu un riordino economico, ma anche un rinnovamento spirituale e del metodo educativo, di una comunità “da riformare, ma non da disperdere”. La religiosa, con pazienza e con la preghiera, vinse anche questa sfida, applicando la sua particolare ricetta dell’umiltà:
“A una ex-alunna, diventata novizia scrisse: ‘Se tu mi chiedessi quale via devi prendere per farti Santa, ti dirò: l’Umiltà. La seconda via è l’Umiltà, la terza ancora l’Umiltà’. Era talmente abitata da questa virtù che s’impegnò con voto alla pratica dell’umiltà”.
da Radio Vaticana
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