Sul periodico “NOMADELFIA: è una proposta” ho trovato questo stupendo articolo sulla vita di comunità; consiglio di leggerlo. rileggerlo, meditarlo “a piccoli sorsi”. Infine rileggerlo mille volte. Quanto qui si dice può essere applicato a qualsiasi tipo di comunità: da quella parrocchiale a quella familiare, alla squadra di calcio, al luogo di lavoro. Io confido che queste parole ci possano aiutare ad amare di più e meglio la nostra comunità parrocchiale.
don Ambrogio
Non si può vivere insieme se non armandosi di perdono e misericordia.
Molto spesso si parte da una concezione sbagliata della vita comunitaria, nel senso che non si ha una visione realistica della persona. Ci si accosta alla comunità con un atteggiamento idilliaco, aspettandosi un ambiente perfetto. Poi si scoprono i difetti in sé e negli altri e nasce la delusione. Non esistono persone senza difetti, e la vita comunitaria li mette a nudo. C’è lo scontro dei caratteri e delle personalità. A volte possono nascere antipatie o simpatie fuori luogo.
Se si desse retta al proprio istinto, sarebbe impossibile vivere insieme. Per riuscirci ci vuole una tecnica, quella di riferirsi sempre al Vangelo, mettendo in atto tutte quelle virtù che ci portano all’unità, alla fraternità, all’essere l’uno per l’altro. Bisogna spogliarsi continuamente dell’uomo vecchio e rivestirsi dell’uomo nuovo, per amare come Cristo ha amato, fino al sacrificio di sé.
Nella vita comunitaria si rinuncia a gestirsi autonomamente per mettersi a disposizione di coloro che sono investiti di autorità. E per non sentire ciò come una mortificazione della propria personalità, occorre maturità, equilibrio, e soprattutto essere chiamati da Dio con una vocazione.
Senza questi requisiti non si resiste a lungo. Si è eternamente sfocati e scontenti, sempre protesi a rimproverare alla comunità quei difetti che non si è capaci di vedere in se stessi.
Intendiamoci, nei singoli membri e nella comunità s’incontrano anche difetti che colpiscono a morte la vita comunitaria e la sua stessa ragione d’essere. Ma è necessario combatterli con l’esempio, prima di tutto, con la correzione fraterna, con un dialogo instancabile, portando il proprio contributo in tutte le sedi e gli organismi ove è possibile intervenire. Infine, soprattutto con la preghiera. Perché non si deve commettere l’errore di crederci profeti senza esserlo, isolandoci nell’amarezza e nel risentimento.
La Scrittura afferma che “chi riprende a viso aperto procura pace” (Prov. 10,10), non bisogna dimenticare che per raddrizzare le cose storte ci vuole l’equilibrio e l’amore dei santi, i quali sanno prendere sulle proprie spalle anche la croce degli errori degli altri, senza esasperarsi e senza rompere la comunione.
Di contro, paradossalmente, proprio dal sapere morire a se stessi nasce la libertà, la gioia e la pienezza del vivere.
Quando siamo deboli e soccombiamo ai nostri egoismi, possiamo subito rimbalzare come palle di gomma e risorgere. Non è mai detta l’ultima parola, non siamo mai sconfitti in modo definitivo. Possiamo sempre rifarci e rinascere. Siamo, in questo senso, irriducibili al male.
In un mondo in cui i più cercano il piacere, il benessere, una realizzazione di sé nel modo spesso più banale ed egoistico, nella comunità – nonostante tutti i limiti delle persone – si spende la vita per amore di Dio e dei fratelli. Ci si sacrifica per testimoniare i valori più alti dell’esistenza.
A volte capita di non sentirsi all’altezza della propria vocazione. Tutti abbiamo le nostre fatiche, le nostre ferite, le nostre amarezze. Dobbiamo imparare a vivere con il Signore anche i momenti di appiattimento, di vuoto spirituale, di buio.
Il segreto della grande forza dei santi è proprio quello di affrontare con Cristo ogni istante della vita, bello o brutto che sia, certi che egli lotta e soffre con noi, senza mai abbandonarci.
di Sandro di Nomadelfia
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