Nel 150° anniversario della nascita di Vincent van Gogh (1853-2003). Dal Sermone domenicale sul Salmo 119, 19 al Campo di grano con corvi. Vivere in compagnia della speranza e nella sua assenza
di d.Andrea Lonardo
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Dal sito www.santamelania.it, (parrocchia Santa Melania di Roma e Centro Culturale L’AREOPAGO), per gentile concessione.
Pochi sanno che Van Gogh è stato un predicatore protestante.
Ha poi abbandonato la fede cristiana, anche se ha parlato di Dio fino al termine della sua vita.
Così non si può affermare che la sua sia una “pittura religiosa”, ma il vuoto lasciato dall'abbandono della fede cristiana traspare con evidenza nella sua opera pittorica – nel periodo delle sue opere più conosciute - e nella sua crisi esistenziale.
Il gesto estremo del suicidio, non riconducibile assolutamente solo a ragioni di disturbo psichiatrico, avvalorano la consapevolezza che l'arte, la pittura non bastano a dare senso alla vita di un uomo: è evidente nell'analisi dei suoi scritti, il desiderio di un figlio e la consapevolezza della non differibilità del problema della sostituzione del cristianesimo con un'altra affermazione di senso di vita.
Ad un certo punto della sua vita e della sua opera si incontra proprio questa tensione con il cristianesimo. Scrive in una lettera (Van Gogh parla spesse volte di Tolstoj, poiché leggeva molto Zola e Tolstoj): “Pare che nel libro La mia religione Tolstoj insinui che benché non si tratti di una rivoluzione violenta, ci sarà anche una rivoluzione intima e segreta fra i popoli dalla quale nascerà una religione nuova o piuttosto qualcosa di assolutamente nuovo, che non avrà nome ma che servirà lo stesso a consolare, a rendere la vita possibile, come fece un tempo la religione cristiana”.
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