Sono in attesa del "controllo".
È la prima volta che visito un carcere: sono un po'.... teso.
Una persona "ristretta" (si dice così) ha scritto al Direttore del carcere che vuol vedere il suo parroco.
Devo depositare tutto. II portafoglio, il mazzo di chiavi, I'orologio, la catenina. Le caramelle che ho in tasca. Ho una colomba farcita: non passa. Passo la prima porta: l'agente, gentile, mi controlla. "Scusi, padre, vuol togliere lei dalla sua tasca sinistra il foglio di carta?". "È un ciclostilato sulla Bibbia...". "Mi dispiace..." Devo togliere dalla giacca anche la corona del Rosario.
Passo queste porte blindate,
assieme ad una decina di visitatori: umanità rassegnata e dimessa: fratelli.
Le famose "chiavi".... degli agenti di polizia penitenziaria.
Il colloquio. Libero. Ma nel vociare di altri vicini.
Mi colpisce il giovane a lato: inveisce contro sua madre,
che pur è venuta a trovarlo. Impreca contro assenti: moglie, fratelli.
Volgarità a fiumi. Violenza.
Da quante ore sto colloquiando? Ma qui non esiste il passare del tempo:
lo sanno solo gli agenti.
È finito. Laggiù una ragazza, sporgendosi, saluta, con un lunghissimo bacio,
il suo amore.
Il carcere è nuovo. Gli agenti sono gentili. Ma io sono triste.
Pensieroso.
È questo, dunque, il "carcere".
Quello che viene invocato
contro "quelli" che hanno "sbagliato";
quello che viene sottovalutato
da "quelli" che "sbagliano".....
Mi piacerebbe venire qui, una volta al mese,
con un giovane od un adulto per volta e,
tacendo,
mostrargli che cosa è,
dal vero,
il carcere.
Fratello, cessa di sbagliare. Ritorna sui tuoi passi.
Convertiti.
Adesso.
Dopo.... è tardi |