"CUORE A CUORE"
PAOLO ZAGO - AMBROGIO VILLA
ED. CITTA' NUOVA
per l'Adorazione Eucaristica" (5a ed.)
Non è la stessa cosa pregare nella propria stanza o davanti al Tabernacolo, come pure non è la stessa cosa fare adorazione e fare meditazione. Ancora, non è la stessa cosa celebrare una liturgia eucaristica e fare un'adorazione comunitaria.
Giovanni Paolo II riconosce diverse forme e modalità per vivere l'adorazione: “L'adorazione di Cristo in questo sacramento d'amore si esprime in diverse forme di devozione eucaristica: preghiera personale davanti al Santissimo, ore di adorazione, brevi esposizioni, esposizioni prolungate, annuali... Gesù ci aspetta, in questo sacramento dell'amore: non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell'adorazione”.
Qual è lo scopo dell'adorazione? L'unità con Gesù vivo nel Sacramento. Non quindi maturare nuove idee o capire nuove cose, ma entrare in un rapporto di intimità, ascoltare nel silenzio il Signore, lì presente, che parla. In una parola: incontrarlo. Così padre Raniero Cantalamessa presenta il fine dell'adorazione: “Altro non è che stabilire un contatto, cuore a cuore, con Gesù realmente presente nell'Ostia e, attraverso di Lui, elevarsi al Padre nello Spirito Santo”.
Tutto questo il più possibile nel silenzio, sia esteriore che interiore: il silenzio è lo sposo prediletto della contemplazione.
È poi altrettanto vero che l'incarnazione di questa unità è il non-essere, perché ci sia Lui, il Suo progetto, la Sua Volontà. Ciò significa vivere uno stato di abbandono, di passività assolutamente attiva e feconda, in cui in noi vi sia una piena accoglienza del Suo mandato missionario.
A partire da questo fine possiamo dare alcune indicazioni molto semplici per vivere il tempo dell'adorazione eucaristica: sono solo indicazioni personali, che nascono dall'esperienza. Nulla di più. Dividiamo, per comodità, il tempo dell'adorazione in cinque momenti.
Primo momento: il vuoto.
Prima di iniziare ad adorare occorre "chiudere la porta della casa", cioè lasciar fuori (di chiesa e dal proprio cuore)tutto ciò che è fonte di ansia e di preoccupazione, le distrazioni e le fantasie, le cose belle e buone ma che non c'entrano, i pensieri e le persone. Bisogna “fare il vuoto”. Non è facile. Ma è necessario.
Per fare questo possono essere utili alcuni strumenti: la posizione del corpo; alcune preghiere o Salmi, o anche dei canti che aiutino a entrare nel clima.
Secondo momento: alla presenza.
Dopo aver fatto il vuoto, occorre porsi alla presenza di Gesù vivo nel Tabernacolo.
Anche qui è utile sia la posizione del corpo(busto eretto o in ginocchio; sguardo fisso sul tabernacolo o sul SS. Sacramento esposto, o altre posture che aiutino la concentrazione e allontanino la distrazione), sia l'utilizzo di alcune brevi riflessioni spirituali, come pure di alcuni testi biblici che parlano dell'Eucaristia.
Occorre fare in modo che sia la mente sia il cuore prendano coscienza che si è davanti a Gesù vivo: “Egli è là”, diceva il Curato d'Ars, e non riusciva a dire altro ...
Terzo momento: in ascolto.
Nel silenzio si tratta di mettersi in ascolto. Di chi? Di Gesù stesso che, nel segno del Pane, è lì davanti a noi. Gesù ha certamente qualcosa da dirci.
Non ha importanza quanto dura questo momento: l'importante è che sia "gustato" nel profondo, assaporato come tempo di "presenza" e "compagnia", come momento in cui il “Tu” di Dio si rivolge a noi.
“Cosa fai e cosa dici?”, chiese il Curato d'Ars a un uomo ritto davanti al tabernacolo. “Niente - rispose - io Lo guardo e Lui mi guarda”. E santa Teresa diceva: “Pregare è pensare a Dio amandolo”.
E padre Raniero Cantalamessa, commentando questo momento, aggiunge: “La contemplazione può talvolta anche essere semplicemente un tener compagnia a Gesù, uno stare sotto il suo sguardo, lasciando anche a lui la gioia di contemplare noi che, per quanto peccatori, siamo però sue creature e frutto della sua passione”.
Solo l'aver vissuto bene le due tappe precedenti consente di vivere in profondità questo momento, che è centrale e tipico della preghiera di adorazione.
Quarto momento: in dialogo.
Dopo l'intima comunione, carica d'ascolto del Signore Gesù, si tratta ora di rispondere alla Sua amorosa presenza. Questo momento può essere a sua volta vissuto in tre fasi.
Nella prima, mantenendo il clima vissuto nella terza tappa, si rivolgono a Gesù brevi e continue invocazioni o giaculatorie o alcune preghiere adatte.
Nella seconda si possono presentare a Gesù le proprie richieste (di perdono, di grazie, ecc.) o le proprie fatiche e difficoltà (gioie, preoccupazioni, ecc.). È importante e tipico di un'adorazione ben vissuta far sì che questi personali pensieri vengano comunicati a Gesù solo ora e non all'inizio dell'adorazione (significherebbe non aver chiuso la porta del cuore e aver fatto dell'adorazione un monologo o un piagnisteo).
Infine, nella terza fase di questo dialogo, si possono utilizzare brevi riflessioni spirituali o brani biblici, se già non utilizzati precedentemente.
Il frutto vero e maturo dell'adorazione eucaristica è allora racchiuso nelle stupende parole della preghiera di Charles de Foucauld: “Padre mio, io mi abbandono a te; fa' di me quello che ti piace”.
E Gesù accoglie certamente la nostra preghiera.
Quinto momento: nel mondo.
Si tratta ora di concludere l'adorazione.
È importante che questa conclusione avvenga bene, con calma. Non si lascia una persona con cui ci si è intrattenuti in dialogo in fretta e furia: occorre ben salutarla e custodire nel cuore l'incontro che si è vissuto.
Possono essere utili in quest'ultimo momento alcuni Salmi e preghiere, nonché richiamare alla mente quanto il Signore Gesù ha comunicato nel profondo e assaporare la gioia dell'intimità vissuta con Lui. È bene concludere tutto con un canto anche nel caso di un'adorazione personale e silenziosa.
Allora forse accadrà ciò che capitò un giorno a Mosè, dopo essere rimasto a lungo alla presenza di Dio: “Quando Mose scese dal monte Sinai [...] non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con il Signore” (Es 34, 29). Così commenta padre Raniero Cantalamessa: “Mosè non sapeva, e neppure noi sapremo (ed è bene che sia così, per noi): ma forse avverrà anche a noi che, tornando tra i fratelli dopo quei momenti, qualcuno vedrà il nostro viso più disteso, sorridente, perché abbiamo contemplato il Signore. Sarà il dono più bello che possiamo fare ad essi”.
Non è detto che quanto così schematicamente descritto si possa sempre realizzare. Riteniamo però utile fare lo sforzo, al di là dei risultati immediati, di utilizzare un metodo per vivere questa forma particolare di preghiera che è l'adorazione. Certo: il "metodo" non è il "fine", però esso è spesso necessario per raggiungere il fine (l'unità con Gesù, come abbiamo detto all'inizio).
tratto da Cuore a Cuore, Paolo Zago e Ambrogio Villa, edizioni Città Nuova |