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LA TRINITA' DI RUBLEV
 
 

L’icona della Trinità di sant’Andrej Rublev è oggi famosa nel mondo intero. È  diventata un’evidenza, l’evidenza di Dio nella giovinezza, nella luce, nella bellezza.

Eppure essa si inscrive nella storia.

 

Nel XIV secolo, in Russia, san Sergio di Radonez fu l’iniziatore di un movimento monastico che permise il disboscamento e la colonizzazione della grande foresta del Nord, evangelizzò la popolazione, raddrizzò i costumi che la lunga dominazione mongola aveva imbarbarito. Sergio amava in modo particolare la Trinità e le consacrò il suo monastero, che sapeva unire azione e contemplazione e praticava la più ampia ospitalità, perché il vero monaco, dice la Tradizione, è nello stesso tempo "separato da tutti e unito a tutti".

Dopo la morte di Sergio, ma sulla sua stessa scia spirituale, un altro monaco, un grande iconografo, sant’Andrej Rublev, dipinse l’icona della Trinità. Era all’inizio del XV secolo.

 

Venerata da generazioni di fedeli pellegrini, l’icona è rimasta nella chiesa del monastero per secoli: poiché il fumo delle candele la anneriva, fu ricoperta parzialmente di una sottile pellicola di metallo prezioso. Durante la rivoluzione, fu strappata dall’iconostasi e messa in un museo. Ma in quei tempi così incerti ci furono mani sapienti e pie incaricate di restaurarla, ridonando ai colori la loro freschezza originaria. Negli anni della persecuzione, l’icona portò silenziosamente la sua testimonianza: i giovani che la contemplavano si lasciavano invadere dalla sua luce. Alcune riproduzioni la diffusero nel mondo intero.

 

Guardiamola: è l’icona dell’ospitalità.

 

 

Abramo, il padre della fede, è seduto davanti alla sua tenda, sotto la quercia a Mamre. Vede tre uomini venire dal deserto e si prostra davanti a loro per invitarli a riposare e a prendere cibo. "Mio Signore", esclama (al singolare), come se avesse visto Dio sui loro volti spossati. Il libro della Genesi precisa più avanti che erano degli angeli, poi dice che era con Dio stesso che Abramo aveva parlato cercando di ottenere la salvezza di Sodoma se solo si fossero trovati dieci giusti in quella città.

 

Ma torniamo all’ospitalità del patriarca. I Tre sono accolti come se fossero un solo Signore. Ecco perché molto presto, già dal VI secolo (in un mosaico di Ravenna) si vede che la Chiesa dà a questa scena un’interpretazione trinitaria.

 

 

In Oriente, si sono dipinte, e si dipingono tutt’ora, tantissime rappresentazioni come questa, in cui si vedono non solo i tre angeli ma Abramo, sua moglie e il servo che prepara il vitello. Il genio di Rublev elimina l’aneddoto, conserva solo i Tre. Gli altri particolari sono in secondo piano: sullo sfondo si riconosce una casa, la Casa del Padre, un albero nel quale la croce si trasforma in nuovo Albero della Vita, una roccia dalla quale sgorga l’acqua di vita eterna, la grazia dello Spirito Santo. Il piatto su cui è posta la testa del vitello che Abramo offre ai suoi ospiti diventa la coppa eucaristica ed è il centro della composizione. L’icona suggerisce così in modo chiaro che si tratta veramente di Dio, del “consiglio divino”. E i tre angeli evocano ciascuno una persona della Trinità.

 

 

L’angelo di mezzo, associato all’Albero, è il simbolo di Cristo: i suoi vestiti, di colore azzurro come il cielo e marrone come la terra, dicono l’unione in Cristo del divino e dell’umano, senza separazione né confusione. In un atteggiamento di amore obbediente, il Figlio guarda il Padre e benedice la coppa del suo stesso sacrificio. Il Padre è rappresentato dall’angelo di sinistra (rispetto a chi guarda l’icona). Il suo mantello trasparente, di un celeste sfumato mischiato di oro leggerissimo, evoca la fonte inaccessibile della divinità. L’Inaccessibile che per "follia di amore" si rivela e si dona nell’incarnazione del Figlio. Anch’egli benedice la coppa e il suo volto, nella stessa pace, esprime uno strano dolore. Ma guarda l’angelo di destra, il cui mantello verde, colore della vita, colore della novità, anticipa la Risurrezione. Questi è lo Spirito vivificante nel quale il Padre risusciterà il Cristo e che comunicherà al mondo la vita, una vita senza la minima traccia di morte, senza nessuna ombra: infatti, non c’è ombra in questa icona. Questo terzo angelo esprime la forza di un adolescente, tutto in lui indica un’eterna giovinezza.

 

Il ritmo dell’insieme ci trasmette «l’immobile movimento d’amore» della Trinità. Una struttura a cerchi indica l’unità dei tre. Un gioco sottile di linee che si corrispondono sottolinea che questa unità consiste nella Comunione divina. Nel tavolo si può notare, sotto la coppa eucaristica, il disegno di un piccolo parallelepipedo: simbolo, sembra, del mondo che può esistere solo in quanto inserito nel sacrificio dell’Agnello immolato dal principio, come dice l’Apocalisse.

La profondità del senso, la bellezza spirituale dei volti, la musica silenziosa del ritmo, i colori tenui, trasparenti, fanno di questa icona una perla deposta come un dono sulla spiaggia dell’eternità. Mistero dell’ospitalità: "Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero". Ma ecco, questi tre uomini sono in realtà tre angeli e in definitiva Dio stesso. Ed è Dio a rivelare al patriarca stupefatto e a sua moglie in un primo momento incredula (perché le donne hanno nel loro corpo una percezione finissima del tempo e della morte), è Dio a rivelare che un bambino sarà finalmente dato loro, principio di una discendenza così numerosa come le stelle del cielo. Nel Primo Testamento, come abbiamo appena visto, l’ospite può essere un angelo — gli angeli che vengono ad avvertire Sodoma e che solo Lot accoglie e protegge. Attraverso l’ospite, Dio ricorda al suo popolo che Israele è stato straniero nel paese di Egitto e che quel Dio che lo ha visitato e liberato è lo stesso Dio che "ama lo straniero, al quale egli dà il pane e i vestiti".

 

Il Cristo compie la rivelazione di questo mistero quando racconta, nel Vangelo di Matteo, una strana parabola riguardo all’ultimo giudizio: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero, nudo e mi avete accolto".

Così egli dirà a quegli uomini che si meravigliano perché non lo hanno mai incontrato.

Allora spiegherà: "Ogni volta che avete fatto questo a uno dei più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me".

 

Olivier Clement, teologo ortodosso

 

Guarda anche:

La Trinità del beato Rublev