Primi Vespri dell’Esaltazione della Santa Croce e Rito della “Nivola”
Omelia
Milano-Duomo, 11 settembre 2004
Un oceano di dolore nella carne lacerata di Cristo
Carissimi,
il Santo Chiodo, che ora è presentato alla nostra amorosa venerazione, ci rimanda a Cristo, a Cristo nel mistero della sua passione e della sua morte.
E’ grande il mistero del Figlio di Dio che si fa uomo, ma è, in un certo senso, ancora più grande il mistero del Figlio di Dio che si fa uomo sofferente e morente per noi sulla croce. Sì, per noi la Croce è la sorgente unica della salvezza: della salvezza di ciascuno di noi, di tutti gli uomini.
Ma, carissimi, il Santo Chiodo non rimanda soltanto al dolore di Cristo. Rimanda anche a questo oceano di dolore, che invade e travolge il mondo. In realtà, nella sofferenza di Cristo si compendiano - per così dire - tutte quante le sofferenze della terra: le nostre sofferenze personali, le sofferenze delle nostre famiglie, le sofferenze dei popoli, le sofferenze dell’umanità intera; la sofferenza in tutte le sue diverse forme, da quelle più quotidiane a quelle più sconvolgenti e angoscianti, come sono, in particolare, le sofferenze di questi anni che stiamo vivendo: quelle della ingiustizia, della violenza, della guerra, del terrorismo. Sofferenze, queste, che sembrano non tramontare, ma, al contrario, diventare sempre più acute e sempre più laceranti. Possiamo ben dire, proprio alla luce di quanto sta avvenendo in questi giorni ed oggi - nel terzo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle di New York -, che le sofferenze del mondo davvero - sì davvero! - sono compendiate nella carne lacerata, umiliata, insanguinata e crocifissa di Cristo Signore.
Carissimi, questo oceano quasi infinito di dolore presente nel mondo non costituisce forse una sfida alla nostra fede? Sì, una sfida a noi che crediamo. Difatti diventa così spontaneo e insopprimibile l’interrogativo: ma Dio, Dio c’è? Dio interviene? Dio, con la sua infinita potenza, non rimane forse assente, lontano, passivo, indifferente, estraneo a tanto dolore del mondo? Dio, Dio c’è?
In questo grido, che si accende inevitabilmente nel cuore di tutti e in maniera particolare nel nostro cuore di credenti, non risuona forse la eco di un altro grido, quello che, in un certo senso, ha lacerato il cuore stesso di Gesù sulla croce, quando ha detto: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” (Matteo 27, 46)?
Il Signore ha gridato sì, ma è rimasto sulla croce! Liberamente ha voluto rimanere sulla croce per soffrire, per portare al vertice queste sue sofferenze sino a morire per amore dell’umanità, per tutta l’umanità: per i buoni e per i cattivi, per i giusti e gli ingiusti, per le vittime e per i loro oppressori. Sì, è morto per tutti!
E allora lasciamoci pure prendere, soprattutto in questi giorni, dall’angoscia e dall’indignazione; partecipiamo pure alle manifestazioni di solidarietà e di richiesta di liberazione per i sequestrati e per gli oppressi.
Ma noi, come credenti, abbiamo un compito tutto “nostro”, originale, insostituibile, estremamente necessario: il compito di pregare! Sì, carissimi, preghiamo, preghiamo di più, preghiamo con più fiducia, preghiamo con più insistenza. La preghiera è una forza debole, debolissima forse, ma in realtà è la forza veramente efficace, quella che ci viene dal Signore Gesù.
Lui sulla croce ha concluso la sua vita nella preghiera. Per questo, tutti quanti, con grande umiltà e con una fiducia ancora più grande, ci rivolgiamo a Lui, a Cristo, e gli diciamo:
O Cristo, o Cristo crocifisso, abbi pietà, abbi pietà di ciascuno di noi, pietà di tutti, pietà del mondo intero.
O Cristo, o Cristo crocifisso, prega tu il Padre, il Padre ricco di misericordia, perché non si stanchi mai di riversare nel cuore degli uomini, nel cuore di tutti gli uomini, il dono consolante e corroborante della misericordia.
Fa’ che, ricevendo questo dono, ci sentiamo tutti fortemente sollecitati perché la nostra vita, sempre ma soprattutto in questi giorni, sappia rinnovarsi con gesti semplici, concreti, quotidiani: i gesti della giustizia, i gesti dell’amore.
Amen.
Card. Dionigi Tettamanzi |