“ … Lo sguardo di Dio fatto bambino deve ispirare e sostenere anche il nostro sguardo verso “chi ha il cuore ferito”, verso le persone che soffrono nelle più diverse forme: l’anzianità, la malattia, la povertà, l’emarginazione, la solitudine, la paura, l’angoscia, la disperazione. Nel “cuore ferito” riconosciamo tante singole persone, tante famiglie e popolazioni, anzi l’intera famiglia umana. Se abbiamo occhi aperti e cuore capace di “compassione”, troviamo dappertutto, invisibile forse ma reale, una sterminata folla di cercatori di speranza. Un grosso deficit di speranza attanaglia l’attuale stagione storica: in tante parti del mondo, nel nostro Paese, dentro i cuori. Noi cristiani siamo pieni di gioia e di speranza e abbiamo una notizia da gridare al mondo: «Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito» (Salmo 34,19).
Il Signore è vicino: non è questo il Natale? Non è il Natale il massimo di vicinanza di Dio all’uomo. Di Dio nella nostra stessa carne umana, debole, fragile, esposta alla sofferenza? Il Signore è vicino! E’ in questa certezza che la disperazione è vinta dalla speranza: sempre, anche nelle situazioni più travagliate e dolorose.
Che il Bambino di Betlemme ci renda certi della sua vicinanza d’amore e riapra i nostri cuori alla speranza di Dio. Questo mondo è benedetto da Dio, è salvato nella speranza, è grembo del suo stesso amore!”
Così concludeva la sua Omelia della Messa della notte di Natale 2007 in Duomo il Cardinal Tettamanzi.
L’affermazione: “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito”, è ora da lui indirizzata espressamente in una Lettera agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione.
In essa si legge: “L'impossibilità di accedere alla comunione eucaristica per gli sposi che vivono stabilmente un secondo legame sponsale” non implica un giudizio “sul valore affettivo e sulla qualità della relazione che unisce i divorziati risposati”.
“Il fatto che spesso queste relazioni siano vissute con senso di responsabilità e con amore nella coppia e verso i figli è una realtà che non sfugge alla Chiesa e ai suoi pastori”, ha riconosciuto.
“È comunque errato ritenere che la norma regolante l’accesso alla comunione eucaristica significhi che i coniugi divorziati risposati siano esclusi da una vita di fede e di carità vissute all’interno della comunità ecclesiale”, perché “la vita cristiana ha il suo vertice nella partecipazione piena all’Eucaristia, ma non è riducibile soltanto al vertice”.
Per questo motivo, il Cardinal Tettamanzi ha chiesto ai divorziati risposati di “partecipare con fede alla Messa” pur non potendo comunicarsi, perché “la ricchezza della vita della comunità ecclesiale resta a disposizione e alla portata anche di chi non può accostarsi alla santa comunione”.
“Anche a voi è rivolta la chiamata alla novità di vita che ci è donata nello Spirito. Anche a vostra disposizione sono i molti mezzi della Grazia di Dio. Anche da voi la Chiesa attende una presenza attiva e una disponibilità a servire quanti hanno bisogno del vostro aiuto”, ha scritto.
“Penso anzitutto al grande compito educativo che come genitori molti di voi sono chiamati a svolgere e alla cura di relazioni positive da realizzare con le famiglie di origine. Penso poi alla testimonianza semplice, se pur sofferta, di una vita cristiana fedele alla preghiera e alla carità. E ancora penso anche a come voi stessi, a partire dalla vostra esperienza, potrete essere di aiuto ad altri che attraversano situazioni simili alle vostre”.
Partecipare con fede alla celebrazione eucaristica, osserva, sarà “uno stimolo a intensificare nei vostri cuori l’attesa del Signore che verrà e il desiderio di incontrarlo di persona con tutta la ricchezza e la povertà della nostra vita”.
Il Cardinale afferma di aver scritto la Lettera per “aprire un dialogo per condividere un poco le gioie e le fatiche del nostro comune cammino”, “per provare ad ascoltare qualcosa del vostro vissuto quotidiano; per lasciarmi interpellare da qualcuna delle vostre domande; per confidare i sentimenti e i desideri che nutro nel mio cuore nei vostri confronti”.
“La Chiesa non vi ha dimenticati! Tanto meno vi rifiuta o vi considera indegni”, scrive a quanti hanno visto il loro matrimonio entrare in crisi. “Per la Chiesa e per me Vescovo, siete sorelle e fratelli amati e desiderati”.
Nelle persone che hanno vissuto una crisi del rapporto, osserva il porporato, “ci sono domande e sofferenze che vi appaiono spesso trascurate o ignorate dalla Chiesa”.
Quest'ultima, scrive, “non vi guarda come estranei che hanno mancato a un patto, ma si sente partecipe delle domande che vi toccano intimamente” e “sa che in certi casi non solo è lecito, ma addirittura inevitabile prendere la decisione di una separazione: per difendere la dignità delle persone, evitare traumi più profondi, custodire la grandezza del matrimonio, che non può trasformarsi in un’insostenibile trafila di reciproche asprezze”.
Il Cardinal Tettamanzi riconosce che prima di prendere la decisione di porre fine a un matrimonio si sperimentano spesso “giorni di fatica a vivere insieme, nervosismi, impazienze e insofferenza, sfiducia reciproca, a volte mancanza di trasparenza, senso di tradimento, delusione per una persona che si è rivelata diversa da come la si era conosciuta all’inizio”.
La scelta di interrompere la vita matrimoniale, quindi, “non può mai essere considerata una decisione facile e indolore”, ma è spesso una conseguenza del fatto che “queste esperienze, quotidiane e ripetute, finiscono con il rendere la casa non più luogo di affetti e gioia, ma una pesante gabbia che sembra togliere la pace del cuore”.
La fine di un matrimonio, constata, “è anche per la Chiesa motivo di sofferenza e fonte di interrogativi pesanti: perché il Signore permette che abbia a spezzarsi quel vincolo che è il 'grande segno' del suo amore totale, fedele e indistruttibile?”.
“Quando questo legame si spezza, la Chiesa si trova in un certo senso impoverita, privata di un segno luminoso che doveva esserle di gioia e di consolazione”.
|