Hans-Peter Röthlin, classe 1941, svizzero di Zurigo, giornalista (dal 1979 al ’91 è stato responsabile dell’informazione della Conferenza episcopale elvetica, poi sottosegretario al Pontificio consiglio per le comunicazioni sociali), oggi guida l’associazione fondata nel 1947 dal religioso premostratense olandese Werenfried van Straaten.
Attualmente Acs opera in 130 Paesi con 6 mila progetti di solidarietà e carità; dal ’99 pubblica ogni anno un aggiornato «Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo».
Dottor Röthlin, la Santa Sede ha più volte sottolineato che la libertà religiosa è il cuore dei diritti umani. Dalla sua esperienza ritiene che tale posizione sia compresa dall’opinione pubblica? E negli ambienti cristiani?
Generalmente constatiamo che in Europa occidentale la libertà religiosa viene considerata qualcosa di molto normale. Guardando all’Est europeo, possiamo constatare che, purtroppo, l’uomo è portato a dimenticare presto. Il benessere e il consumismo spesso coprono la memoria storica. Se ci guardiamo intorno, vediamo moltissime persone di altre religioni e ci rendiamo conto che anche i cristiani coerenti fanno fatica a concedere agli altri quanto per se stessi è ormai normalissimo. Entra in gioco la sottile paura davanti a ciò che è estraneo alle proprie abitudini. Tutto sommato, la libertà religiosa - sia negli ambienti laici sia in quelli cattolici-cristiani - non è compresa ancora del tutto.
Parlare di libertà religiosa spesso significa denunciare situazioni di persecuzione o soprusi: come è possibile passare dalla denuncia all’azione propositiva?
Bisognerebbe sensibilizzare - a tutti i livelli - le persone alla «regola d’oro»: «Fate dunque agli altri ciò che volete che gli altri facciano a voi (Mt 7,12)». L’islam da parte sua invita i suoi credenti con le parole: «Nessuno di voi è credente finché non desidera per il fratello ciò che desidera per sé». Se, ad esempio, è lecito costruire moschee in ambienti cristiani, per i cristiani in Paesi islamici dovrebbe essere normale poter costruire chiese. Ma ci vuole tempo, pazienza e coraggio. E, soprattutto, piccoli passi e un clima che escluda la paura. È chiaro che qualche volta si osservano situazioni scoraggianti. Allora bisogna allargare lo sguardo per riconoscere che, altrove, ci sono sviluppi positivi.
Padre Werenfried è noto per la sua pionieristica azione di aiuto alle Chiese dell’Est sotto il socialismo sovietico. Quali sono le Chiese, oggi, più bisognose e perché?
Le Chiese dell’Europa orientale hanno tuttora bisogno del nostro aiuto perché solo oggi c’è la libertà necessaria. La repressione è stata ancor più forte di quanto si fosse potuto pensare. Poi ci rivolgiamo verso l’Africa, e verso gli altri Paesi tuttora dominati dal comunismo, come Corea del Nord, Cina, Vietnam e Cuba. Dove c’è mancanza di libertà, regna la paura e dove c’è paura l’uomo è portato al controllo totale.
C’è il rischio che il mondo laico «strumentalizzi» la libertà religiosa per fini politici?
Può darsi che ci siano delle tendenze alla strumentalizzazione, ma ciò che servirebbe davvero è una campagna di sensibilizzazione tra i cristiani. Di solito non sanno che valori come quello della libertà religiosa affondano le loro radici nel messaggio evangelico stesso e che dovrebbero essere valorizzati come Parola di Dio da trasformare in vita sociale: solo così saremo immuni da ogni strumentalizzazione.
Talvolta vengono rese note delle classifiche dei Paesi più repressivi in tema di libertà religiosa: Cina, Arabia Saudita, Corea del Nord, Iran… Perché la politica resta comunque in silenzio?
La risposta è semplice: ci sono forti interessi economici. Laddove questi interessi si fanno strada, si osservano silenzio e inattività, viltà e paralisi.
Ci può essere una «santa alleanza» tra le religioni in favore della libertà di credo?
Sì. Anche se l’uso di questo termine ha un po’ l’odore della «crociata», penso che una risposta valida sarebbe quella «regola d’oro» che trova un riscontro in tante religioni. Inoltre, la Chiesa cattolica, a partire dal Concilio Vaticano II, ha fatto passi notevoli, soprattutto con le iniziative di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI con la Lectio di Regensburg e la sua visita ad Istanbul nel 2006. Certamente ci sono posizioni contrarie da parte di certi circoli conservatori nella Chiesa stessa: non ho però l’impressione che siano in grado di capovolgere quanto raggiunto. Ci sono poi «blocchi esterni» legati ad interessi politico-economici. Infine, dobbiamo constatare che, purtroppo, ci sono posizioni di blocco in ambienti religiosi radicali in alcuni Paesi islamici.
Quali sono le situazioni nel mondo più a rischio oggi in fatto di libertà religiosa? Quali in via di peggioramento? E di miglioramento?
L’elenco sarebbe lungo, mi limito a qualche esempio. Per la prima categoria, ci sarebbero da elencare Paesi in tutti i continenti, perfino l’Europa con la Bosnia-Erzegovina, la Bielorussia e la Turchia. In peggioramento direi che ci sono lo Zimbabwe, l’India, l’Iraq e tutta la regione del Medio Oriente. Per quanto riguarda il Vietnam, l’Indonesia e il Laos, possiamo invece parlare di un leggero miglioramento.
Vietnam e Laos sono Paesi «più liberi» religiosamente parlando: come mai?
Dagli anni ’80 il governo di Hanoi persegue una politica di riforme con lo scopo di salvare il Paese dal crollo economico. Con il passare del tempo le comunità religiose hanno approfittato di quest’apertura. La vita religiosa nel Paese era osteggiata con misure fortemente repressive che sono state alleggerite. Il «merito» può essere attribuito ad alcuni cambiamenti nella direzione del Partito comunista che hanno portato alla modifica di alcune norme o alla loro applicazione meno rigorosa, ma anche all’entrata del Paese nel Wto nel 2007 e, lo scorso ottobre, all’assegnazione al Vietnam di uno dei seggi non-permanenti nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Questo non vuol dire comunque che tutti i problemi siano superati. Un altro esempio positivo è il Laos: sebbene la libertà religiosa subisca ancora forti restrizioni, ci sono segnali positivi come l’aumento del numero dei sacerdoti e la vitalità dei gruppi giovanili.
Può indicarci un Paese fonte di particolare preoccupazione?
Premesso che nel continente africano - tranne che nei Paesi del Nord - negli ultimi anni ci sono state numerose evoluzione positive, soprattutto per il miglioramento del quadro costituzionale, una situazione in peggioramento è quella della Guinea Equatoriale. Qui l’islam è molto forte dal punto di vista socio-culturale e il governo è stato spesso accusato di favorirlo. Un segnale non positivo è la diffusa emarginazione dei non-musulmani dalle cariche pubbliche, anche a livello locale, laddove la pressione islamica è più forte.
Lorenzo Fazzini per MissiONline
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