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UN'AFRICA IN FESTA, UNA CHIESA VIVA
 
 

INTERVISTA CONCESSA DAL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI GIORNALISTI DURANTE IL VOLO VERSO L'AFRICA

Volo Papale, Martedì, 17 marzo 2009

 

D.Buongiorno. Santità, da tempo – e in particolare, dopo la Sua ultima lettera ai Vescovi del mondo – molti giornali parlano di "solitudine del Papa". Ecco: Lei che cosa ne pensa? Si sente davvero solo? E con quali sentimenti, dopo le recenti vicende, ora vola verso l’Africa con noi?

R. – Per dire la verità, devo dire che mi viene un po’ da ridere su questo mito della mia solitudine: in nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo nelle visite di tabella i collaboratori più stretti, incominciando dal Segretario di Stato fino alla Congregazione di Propaganda Fide, eccetera; vedo poi tutti i Capi Dicastero regolarmente, ogni giorno ricevo Vescovi in visita ad Limina – ultimamente tutti i Vescovi, uno dopo l’altro, della Nigeria, poi i Vescovi dell’Argentina … Abbiamo avuto due Plenarie in questi giorni, una della Congregazione per il Culto Divino e l’altra della Congregazione per il Clero, e poi colloqui amichevoli; una rete di amicizia, anche i miei compagni di Messa dalla Germania sono venuti recentemente per un giorno, per chiacchierare con me … Allora, dunque, la solitudine non è un problema, sono realmente circondato da amici in una splendida collaborazione con Vescovi, con collaboratori, con laici e sono grato per questo. In Africa vado con grande gioia: io amo l’Africa, ho tanti amici africani già dai tempi in cui ero professore fino a tutt’oggi; amo la gioia della fede, questa gioiosa fede che si trova in Africa. Voi sapete che il mandato del Signore per il successore di Pietro è “confermare i fratelli nella fede”: io cerco di farlo. Ma sono sicuro che tornerò io stesso confermato dai fratelli, contagiato – per così dire – dalla loro gioiosa fede.

 

 

D. – Adesso, una domanda che viene dalla componente tedesca di questo gruppo di giornalisti: è Elisa Kramer che rappresenta il Sankt Ulrich Verlag, che ci fa la domanda:

 

D.Quando Lei si rivolge all’Europa, parla spesso di un orizzonte dal quale Dio sembra scomparire. In Africa non è così, ma vi è una presenza aggressiva delle sètte, vi sono le religioni tradizionali africane. Qual è allora la specificità del messaggio della Chiesa cattolica che Lei vuole presentare in questo contesto?

R. – Allora, prima riconosciamo tutti che in Africa il problema dell’ateismo quasi non si pone, perché la realtà di Dio è così presente, così reale nel cuore degli africani che non credere in Dio, vivere senza Dio non appare una tentazione. E’ vero che ci sono anche i problemi delle sètte: non annunciamo, noi, come fanno alcuni di loro, un Vangelo di prosperità, ma un realismo cristiano; non annunciamo miracoli, come alcuni fanno, ma la sobrietà della vita cristiana. Siamo convinti che tutta questa sobrietà, questo realismo che annuncia un Dio che si è fatto uomo, quindi un Dio profondamente umano, un Dio che soffre, anche, con noi, dà un senso alla nostra sofferenza per un annuncio con un orizzonte più vasto, che ha più futuro. E sappiamo che queste sètte non sono molto stabili nella loro consistenza: sul momento può fare bene l’annuncio della prosperità, di guarigioni miracolose ecc., ma dopo un po’ di tempo si vede che la vita è difficile, che un Dio umano, un Dio che soffre con noi è più convincente, più vero, e offre un più grande aiuto per la vita. E’ importante, anche, che noi abbiamo la struttura della Chiesa cattolica. Annunciamo non un piccolo gruppo che dopo un certo tempo si isola e si perde, ma entriamo in questa grande rete universale della cattolicità, non solo trans-temporale, ma presente soprattutto come una grande rete di amicizia che ci unisce e ci aiuta anche a superare l’individualismo per giungere a questa unità nella diversità, che è la vera promessa.

 

 

CERIMONIA DI BENVENUTO

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé
Martedì, 17 marzo 2009

 

Vengo tra voi come pastore. Vengo per confermare i miei fratelli e le mie sorelle nella fede. Questo è stato il compito che Cristo ha affidato a Pietro nell’Ultima Cena, e questo è il ruolo dei successori di Pietro.

Quando Pietro predicò alla moltitudine in Gerusalemme nel giorno di Pentecoste, erano presenti tra loro anche visitatori provenienti dall’Africa. La testimonianza poi di molti grandi santi di questo Continente durante i primi secoli del cristianesimo – San Cipriano, Santa Monica, Sant’Agostino, Sant’Atanasio, per nominarne solo alcuni – assicura all’Africa un posto di distinzione negli annali della storia della Chiesa. Fino ai giorni nostri schiere di missionari e di martiri hanno continuato ad offrire la loro testimonianza a Cristo in ogni parte dell’Africa, e oggi la Chiesa è qui benedetta con la presenza di circa centocinquanta milioni di fedeli. Quanto appropriata è dunque la decisione del Successore di Pietro di venire in Africa per celebrare con voi la vivificante fede in Cristo, che sostiene e nutre un così gran numero di figli e figlie in questo grande Continente.

Fu qui a Yaoundé nel 1995 che il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, promulgò l’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa, frutto della Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, svoltasi a Roma l’anno precedente. Il decimo anniversario di quello storico momento fu celebrato or non è molto con grande solennità in questa stessa città.

 

Sono venuto qui per presentare l’Instrumentum laboris per la Seconda Assemblea Speciale, che si realizzerà a Roma nel prossimo Ottobre.

I Padri del Sinodo rifletteranno insieme sul tema: “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace: ‘Voi siete il sale della terra…Voi siete la luce del mondo (Mt 5,13-14)”. Dopo quasi dieci anni del nuovo millennio, questo momento di grazia è un appello a tutti i Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici del Continente a dedicarsi nuovamente alla missione della Chiesa a portare speranza ai cuori del popolo dell’Africa, e con ciò pure ai popoli di tutto il mondo.

 

 

Anche in mezzo alle più grandi sofferenze, il messaggio cristiano reca sempre con sé speranza. La vita di Santa Josephine Bakhita offre uno splendido esempio della trasformazione che l’incontro con il Dio vivente può portare in una situazione di grande sofferenza ed ingiustizia.

Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio.

Qui, in Africa, come pure in tante altre parti del mondo, innumerevoli uomini e donne anelano ad udire una parola di speranza e di conforto.

Conflitti locali lasciano migliaia di senza tetto e di bisognosi, di orfani e di vedove.

In un Continente che, nel passato, ha visto tanti suoi abitanti crudelmente rapiti e portati oltremare a lavorare come schiavi, il traffico di esseri umani, specialmente di inermi donne e bambini, è diventato una moderna forma di schiavitù.

In un tempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di modelli disturbati di cambiamenti climatici, l’Africa soffre sproporzionatamente: un numero crescente di suoi abitanti finisce preda della fame, della povertà, della malattia.

Essi implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro. Non nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio (cfr Rm 8,21).

Non l’imposizione di modelli culturali che ignorano il diritto alla vita dei non ancora nati, ma la pura acqua salvifica del Vangelo della vita.

 

 

 

INCONTRO CON I VESCOVI DEL CAMERUN

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Chiesa Christ-Roi in Tsinga - Yaoundé
Mercoledì, 18 marzo 2009

Nel contesto della globalizzazione in cui ci troviamo, la Chiesa ha un interesse particolare per le persone più bisognose. La missione del Vescovo lo impegna ad essere il principale difensore dei diritti dei poveri, a promuovere e favorire l'esercizio della carità, manifestazione dell’amore del Signore per i piccoli. In questo modo, i fedeli sono portati a cogliere in modo concreto che la Chiesa è una vera famiglia di Dio, riunita dall’amore fraterno, che esclude ogni etnocentrismo e particolarismo eccessivi e contribuisce alla riconciliazione e alla cooperazione tra le etnie per il bene di tutti. D'altra parte, la Chiesa, attraverso la sua dottrina sociale, vuole risvegliare la speranza nei cuori degli esclusi. E’ anche dovere dei cristiani, specialmente dei laici che hanno responsabilità sociali, economiche, politiche, di lasciarsi guidare dalla dottrina sociale della Chiesa, per contribuire alla costruzione di un mondo più giusto in cui ciascuno potrà vivere dignitosamente.

 

CELEBRAZIONE DEI VESPRI

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Marie Reine des Apôtres nel quartiere di Mvolyé - Yaoundé
Mercoledì, 18 marzo 2009

 

Invito anche voi, fratelli e sorelle che vi siete impegnati nella vita consacrata o nei movimenti ecclesiali, a rivolgere lo sguardo a san Giuseppe. Quando Maria riceve la visita dell’angelo all’Annunciazione è già promessa sposa di Giuseppe. Indirizzandosi personalmente a Maria, il Signore unisce quindi già intimamente Giuseppe al mistero dell’Incarnazione. Questi ha accettato di legarsi a questa storia che Dio aveva iniziato a scrivere nel seno della sua sposa. Egli ha quindi accolto in casa sua Maria. Ha accolto il mistero che era in lei ed il mistero che era lei stessa. Egli l’ha amata con quel grande rispetto che è il sigillo dell’amore autentico. San Giuseppe ci insegna che si può amare senza possedere. Contemplandolo, ogni uomo e ogni donna può, con la grazia di Dio, essere portato alla guarigione delle sue ferite affettive a condizione di entrare nel progetto che Dio ha già iniziato a realizzare negli esseri che stanno vicini a Lui, così come Giuseppe è entrato nell’opera della redenzione attraverso la figura di Maria e grazie a ciò che Dio aveva già fatto in lei. Possiate, cari fratelli e sorelle impegnati nei movimenti ecclesiali, essere attenti a coloro che vi circondano e manifestare il volto amorevole di Dio alle persone più umili, soprattutto mediante l’esercizio delle opere di misericordia, l’educazione umana e cristiana dei giovani, il servizio della promozione della donna ed in tanti altri modi!

 

INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI
DELLA COMUNITÀ MUSULMANA DEL CAMERUN

SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Nunziatura Apostolica di Yaoundé
Giovedì, 19 marzo 2009

Il Camerun è la Patria di migliaia di cristiani e di musulmani, che spesso vivono, lavorano e praticano la loro fede nello stesso ambiente. I seguaci tanto dell’una quanto dell’altra religione credono in un Dio unico e misericordioso, che nel nell’ultimo giorno giudicherà l’umanità (cfr Lumen gentium, 16). Insieme essi offrono testimonianza dei valori fondamentali della famiglia, della responsabilità sociale, dell’obbedienza alla legge di Dio e dell’amore verso i malati e i sofferenti. Plasmando la loro vita secondo queste virtù e insegnandole ai giovani, cristiani e musulmani non solo mostrano come favoriscono il pieno sviluppo della persona umana, ma anche come stringono legami di solidarietà con i loro vicini e promuovono il bene comune.

Amici, io credo che oggi un compito particolarmente urgente della religione è di rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio ed è elevata mediante la rivelazione e la fede. Credere in Dio, lungi dal pregiudicare la nostra capacità di comprendere noi stessi e il mondo, la dilata. Lungi dal metterci contro il mondo, ci impegna per esso. Siamo chiamati ad aiutare gli altri nello scoprire le tracce discrete e la presenza misteriosa di Dio nel mondo, che Egli ha creato in modo meraviglioso e sostiene con il suo ineffabile amore che abbraccia tutto. Anche se la sua gloria infinita non può mai essere direttamente afferrata in questa vita dalla nostra mente finita, possiamo tuttavia raccoglierne barlumi nella bellezza che ci circonda. Se gli uomini e le donne consentono all’ordine magnifico del mondo e allo splendore della dignità umana di illuminare la loro mente, essi possono scoprire che ciò che è “ragionevole” va ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica può dedurre e gli esperimenti scientifici possono dimostrare; il “ragionevole” include anche la bontà e l’intrinseca attrattiva di un vivere onesto e secondo l’etica, manifestato a noi mediante lo stesso linguaggio della creazione.

Questa visione ci induce a cercare tutto ciò che è retto e giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro interesse egoistico e ad agire per il bene degli altri. In questo modo una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana. Essa rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione. In realtà, religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede.

 

 

CELEBRAZIONE EUCARISTICA
IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE
DELL’
INSTRUMENTUM LABORIS 
 

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Stadio Amadou Ahidjo di Yaoundé
Giovedì, 19 marzo 2009

 

Come in altri continenti, oggi la famiglia conosce effettivamente, nel vostro Paese e nel resto dell’Africa, un periodo difficile che la sua fedeltà a Dio l’aiuterà a superare. Alcuni valori della vita tradizionale sono stati sconvolti. I rapporti tra le generazioni si sono modificati in una maniera tale da non favorire più come prima la trasmissione della conoscenze antiche e della saggezza ereditata dagli antenati. Troppo spesso si assiste ad un esodo rurale paragonabile a quello che numerosi altri periodi umani hanno conosciuto. La qualità dei legami familiari ne risulta profondamente intaccata. Sradicati e resi più fragili, i membri delle giovani generazioni, spesso –ahimè! - senza un vero lavoro, cercano rimedi al loro male di vivere rifugiandosi in paradisi effimeri e artificiali importati di cui si sa che non arrivano mai ad assicurare all’uomo una felicità profonda e duratura. A volte anche l’uomo africano è costretto a fuggire fuori da se stesso, e ad abbandonare tutto ciò che costituiva la sua ricchezza interiore. Messo a confronto col fenomeno di una urbanizzazione galoppante, egli abbandona la sua terra, fisicamente e moralmente, non come Abramo per rispondere alla chiamata del Signore, ma per una sorta di esilio interiore che lo allontana dal suo stesso essere, dai suoi fratelli e sorelle di sangue e da Dio stesso.

 

La prima priorità consisterà nel ridare senso all’accoglienza della vita come dono di Dio. Per la Sacra Scrittura come per la migliore saggezza del vostro continente, l’arrivo di un bambino è una grazia, una benedizione di Dio. L’umanità è oggi invitata a modificare il suo sguardo: in effetti, ogni essere umano, anche il più piccolo e povero, è creato «ad immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,27). Egli deve vivere! La morte non deve prevalere sulla vita! La morte non avrà mai l’ultima parola!

Figli e figlie d’Africa, non abbiate paura di credere, di sperare e di amare, non abbiate paura di dire che Gesù è la Via, la Verità e la Vita, che soltanto da lui possiamo essere salvati. San Paolo è l’autore ispirato che lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa per essere il «maestro dei pagani» (1Tm 2,7), quando ci dice che Abramo «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza» (Rm 4,18).

 

INCONTRO CON IL MONDO DELLA SOFFERENZA

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Centro Card. Paul Emile Léger - CNRH di Yaoundé
Giovedì, 19 marzo 2009

Da questo Centro, che porta il nome del Cardinale Paolo Emilio Léger, figlio del Canada, che venne tra voi per curare i corpi e le anime, io non dimentico coloro che, nelle loro case, negli ospedali, negli ambienti specializzati o nei dispensari, sono portatori di un handicap, sia motorio che mentale, né coloro che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre. Penso anche a tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi. So bene come presso di voi la Chiesa cattolica sia fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente. A voi che siete provati dalla malattia e dalla sofferenza, a tutte le vostre famiglie, desidero portare da parte del Signore un pò di conforto, rinnovarvi il mio sostegno ed invitarvi a rivolgervi a Cristo e a Maria che egli ci ha dato come Madre. Ella ha conosciuto la sofferenza, ed ha seguito suo Figlio sul cammino del Calvario, conservando nel suo cuore l’amore medesimo che Gesù è venuto a portare a tutti gli uomini.

Davanti alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto l’effetto del dolore, come ha fatto Giobbe, il cui nome significa ‘sofferente’ (cfr Gregorio Magno, Moralia in Job, I, 1, 15). Gesù stesso ha gridato poco prima di morire (cfr Mc 15,37; Eb 5,7). Quando la nostra condizione si degrada, l’angoscia aumenta; alcuni sono tentati di dubitare della presenza di Dio nella loro esistenza. Giobbe, al contrario, è consapevole della presenza di Dio nella sua vita; il suo grido non si fa ribellione, ma, dal profondo della sua sventura, egli fa emergere la sua fiducia (cfr Gb 19;42,2-6). I suoi amici, come ognuno di noi davanti alla sofferenza di una persona cara, si sforzano di consolarlo, ma usano delle parole vuote.

 

Non si può forse dire che ogni Africano è in qualche modo membro della famiglia di Simone di Cirene? Ogni Africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per risuscitare un giorno con Lui. Vedendo l’infamia di cui è oggetto Gesù, contemplando il suo volto sulla Croce, e riconoscendo l’atrocità del suo dolore, possiamo intravvedere, con la fede, il volto luminoso del Risorto che ci dice che la sofferenza e la malattia non avranno l’ultima parola nelle nostre vite umane. Io prego, cari fratelli e sorelle, perché vi sappiate riconoscere in questo ‘ Simone di Cirene’. Prego, cari fratelli e sorelle malati, perché molti ‘Simone di Cirene’ vengano anche al vostro capezzale.

 

 

INCONTRO CON IL CONSIGLIO SPECIALE
DEL SINODO PER L'AFRICA

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Nunziatura Apostolica di Yaoundé
Giovedì, 19 marzo 2009

 

In realtà, nel contesto sociopolitico ed economico attuale del continente africano, che cosa c’è di più drammatico della lotta spesso cruenta tra gruppi etnici o popoli fratelli? E se il Sinodo del 1994 ha insistito sulla Chiesa-Famiglia di Dio, quale può essere l’apporto di quello di quest’anno, alla costruzione dell’Africa, assetata di riconciliazione e alla ricerca della giustizia e della pace? I conflitti locali o regionali, i massacri e i genocidi che si sviluppano nel Continente devono interpellarci in modo tutto particolare: se è vero che in Gesù Cristo noi apparteniamo alla stessa famiglia e condividiamo la stessa vita, poiché nelle nostre vene circola lo stesso Sangue di Cristo, che fa di noi figli di Dio, membri della Famiglia di Dio, non dovrebbero dunque più esserci odio, ingiustizie, guerre tra fratelli.

Santa Maria, Madre di Dio, Protettrice dell’Africa, tu hai dato al mondo la luce vera, Gesù Cristo. Con la tua obbedienza al Padre e con la grazia dello Spirito Santo ci hai donato la sorgente della nostra riconciliazione e della nostra giustizia, Gesù Cristo, nostra pace e nostra gioia.

Madre di tenerezza e di sapienza, mostraci Gesù, Figlio tuo e Figlio di Dio, sostieni il nostro cammino di conversione, affinché Gesù faccia brillare su di noi la sua Gloria in ogni ambito della nostra vita personale, familiare e sociale.

Madre piena di Misericordia e di Giustizia, per la tua docilità allo Spirito Consolatore, ottienici la grazia di essere testimoni del Signore Risorto, perché diventiamo sempre più il sale della terra e la luce del mondo.

Madre del Perpetuo Soccorso, alla tua materna intercessione affidiamo la preparazione e i frutti del Secondo Sinodo per l’Africa. Regina della Pace, prega per noi! Nostra Signora dell’Africa, prega per noi!”.

 

 

CERIMONIA DI BENVENUTO

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda
Venerdì, 20 marzo 2009

Come non pensare qui alle popolazioni della provincia di Kunene flagellate da piogge torrenziali e alluvioni, che hanno provocato numerosi morti e hanno lasciato tante famiglie prive di alloggio per la distruzione delle loro case?  A quelle popolazioni provate desidero far giungere in questo momento l’assicurazione della mia solidarietà, insieme con un particolare incoraggiamento alla fiducia per ricominciare con l’aiuto di tutti.

Cari amici angolani, il vostro territorio è ricco; la vostra Nazione è forte. Utilizzate queste vostre prerogative per favorire la pace e l’intesa fra i popoli, su una base di lealtà e di uguaglianza che promuovano per l’Africa quel futuro pacifico e solidale al quale tutti anelano e hanno diritto. A tale scopo vi prego: Non arrendetevi alla legge del più forte! Perché Dio ha concesso agli esseri umani di volare, al di sopra delle loro tendenze naturali, con le ali della ragione e della fede. Se vi fate sollevare da queste ali, non vi sarà difficile riconoscere nell’altro un fratello, che è nato con gli stessi diritti umani fondamentali. Purtroppo dentro i vostri confini angolani ci sono ancora tanti poveri che rivendicano il rispetto dei loro diritti. Non si può dimenticare la moltitudine di angolani che vivono al di sotto della linea di povertà assoluta. Non deludete le loro aspettative!

 

INCONTRO CON LE AUTORITÀ POLITICHE E CIVILI
E CON IL CORPO DIPLOMATICO

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Salone d’onore del Palazzo Presidenziale di Luanda
Venerdì, 20 marzo 2009

L’Angola sa che è arrivato per l’Africa il tempo della speranza. Ogni comportamento umano retto è speranza in azione. Le nostre azioni non sono mai indifferenti davanti a Dio; e non lo sono neanche per lo sviluppo della storia. Amici miei, armati di un cuore integro, magnanimo e compassionevole, voi potete trasformare questo Continente, liberando il vostro popolo dal flagello dell’avidità, della violenza e del disordine, guidandolo sul sentiero segnato dai principi indispensabili ad ogni moderna civile democrazia: il rispetto e la promozione dei diritti umani, un governo trasparente, una magistratura indipendente, una comunicazione sociale libera, un'onesta amministrazione pubblica, una rete di scuole e di ospedali funzionanti in modo adeguato, e la ferma determinazione, radicata nella conversione dei cuori, di stroncare una volta per tutte la corruzione. Nel Messaggio di quest'anno per la Giornata Mondiale della Pace ho voluto richiamare all’attenzione di tutti la necessità di un approccio etico allo sviluppo. Infatti, più che semplici programmi e protocolli, le persone di questo continente stanno giustamente chiedendo una conversione profondamente convinta e durevole dei cuori alla fraternità (cfr n. 13). La loro richiesta a quanti servono nella politica, nella amministrazione pubblica, nelle agenzie internazionali e nelle compagnie multinazionali è soprattutto questa: stateci accanto in modo veramente umano;  accompagnate noi, le nostre famiglie, le nostre comunità!

 

INCONTRO CON I VESCOVI DELL'ANGOLA E SÃO TOMÉ 

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Cappella della Nunziatura Apostolica - Luanda
Venerdì, 20 marzo 2009

 

Certamente decisivo in ordine al futuro della fede e all’indirizzo globale della vita della Nazione è il campo della cultura, in cui la Chiesa gode di rinomate istituzioni accademiche, le quali devono proporsi come punto d’onore di far sì che la voce dei cattolici sia sempre presente nel dibattito culturale della Nazione, perché si rafforzino le capacità di elaborare razionalmente, alla luce della fede, le tante questioni che sorgono nei diversi ambiti della scienza e della vita. Inoltre la cultura e i modelli di comportamento si trovano oggi sempre più condizionati e caratterizzati dalle immagini proposte dai mezzi di comunicazione sociale; perciò è lodevole ogni vostro sforzo per avere, anche a questo livello, una capacità di comunicazione che vi metta in grado di offrire a tutti un’interpretazione cristiana degli eventi, dei problemi e delle realtà umane.

 

CELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE, I MOVIMENTI ECCLESIALI E I CATECHISTI DELL’ANGOLA E SÃO TOMÉ

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Chiesa São Paolo di Luanda
Sabato, 21 marzo 2009

Oggi spetta a voi, fratelli e sorelle, sulla scia di quegli eroici e santi messaggeri di Dio, offrire Cristo risorto ai vostri concittadini. Tanti di loro vivono nella paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono minacciati; disorientati, arrivano al punto di condannare bambini della strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono stregoni. Chi può recarsi da loro ad annunziare che Cristo ha vinto la morte e tutti quegli oscuri poteri (cfr Ef 1, 19-23; 6, 10-12)? Qualcuno obietta: «Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com’è, perché realizzi nel modo migliore la propria autenticità». Ma, se noi siamo convinti e abbiamo fatto l’esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna.

 

 

INCONTRO CON I GIOVANI

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Stadio dos Coqueiros - Luanda
Sabato, 21 marzo 2009

 

 

Incontrare i giovani fa bene a tutti! Essi hanno a volte tante difficoltà, ma portano con sé tanta speranza, tanto entusiasmo, tanta voglia di ricominciare. Giovani amici, voi custodite in voi stessi la dinamica del futuro. Vi invito a guardarlo con gli occhi dell’apostolo Giovanni: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra (…) e anche la città santa, la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini”» (Ap 21, 1-3). Carissimi amici, Dio fa la differenza. A cominciare dalla serena intimità fra Dio e la coppia umana nel giardino dell’Eden, passando alla gloria divina che irradiava dalla Tenda della Riunione in mezzo al popolo d’Israele durante la traversata del deserto, fino all’incarnazione del Figlio di Dio che si è indissolubilmente unito  all’uomo in Gesù Cristo. Questo stesso Gesù riprende la traversata del deserto umano passando attraverso la morte e arriva alla risurrezione, trascinando con sé verso Dio l’intera umanità. Ora Gesù non si trova più confinato in un luogo e in un tempo determinato, ma il suo Spirito, lo Spirito Santo, emana da Lui e entra nei nostri cuori, unendoci così con Gesù stesso e con Lui al Padre – con il Dio uno e trino.

Amici che mi ascoltate, il futuro è Dio. Come abbiamo ascoltato poc’anzi, Egli «tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21, 4). Nel frattempo, vedo qui presenti alcuni delle migliaia di giovani angolani mutilati in conseguenza della guerra e delle mine, penso alle innumerevoli lacrime che tanti di voi hanno versato per la perdita dei familiari, e non è difficile immaginare le nubi grigie che coprono ancora il cielo dei vostri sogni migliori… Leggo nel vostro cuore un dubbio, che voi rivolgete a me: «Questo è ciò che abbiamo. Quello che tu ci dici non si vede! La promessa ha la garanzia divina – e noi vi crediamo –, ma Dio quando si alzerà per rinnovare ogni cosa?». La risposta di Gesù è la stessa che Egli ha dato ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, vi avrei mai detto: Vado a  prepararvi un posto?» (Gv 14, 1-2). Ma voi, carissimi giovani, insistete: «D’accordo! Ma quando accadrà questo?» Ad una domanda simile fatta dagli apostoli, Gesù rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni (…) fino agli estremi confini della terra» (At 1, 7-8). Guardate che Gesù non ci lascia senza risposta; ci dice chiaramente una cosa: il rinnovamento inizia dentro; riceverete una forza dall’Alto. La forza dinamica del futuro si trova dentro di voi.

Io vi dico: Coraggio! Osate decisioni definitive, perché in verità queste sono le sole che non distruggono la libertà, ma ne creano la giusta direzione, consentendo di andare avanti e di raggiungere qualcosa di grande nella vita. Non c’è dubbio che la vita ha valore soltanto se avete il coraggio dell’avventura, la fiducia che il Signore non vi lascerà mai soli. Gioventù angolana, libera dentro di te lo Spirito Santo, la forza dall’Alto! Con fiducia in questa forza, come Gesù, rischia questo salto per così dire nel definitivo e, con ciò, offri una possibilità alla vita! Così verranno a crearsi tra voi delle isole, delle oasi e poi grandi superfici di cultura cristiana, in cui diventerà visibile quella «città santa che scende dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo». Questa è la vita che merita di essere vissuta e che di cuore vi auguro. Viva la gioventù di Angola!

 

INCONTRO CON I MOVIMENTI CATTOLICI
PER LA PROMOZIONE DELLA DONNA

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Parrocchia di Santo António di Luanda
Domenica, 22 marzo 2009

 

Carissimi fratelli e sorelle, la storia registra quasi esclusivamente le conquiste dei maschi, quando in realtà una parte importantissima si deve ad azioni determinanti, perseveranti e benefiche poste da donne. Lasciate che, fra tante donne straordinarie, vi parli di due: Teresa Gomes e Maria Bonino. Angolana la prima, è deceduta l’anno 2004 nella città di Sumbe, dopo una vita coniugale felice da cui sono nati 7 figli; incrollabile è stata la sua fede cristiana e ammirevole il suo zelo apostolico, sopratutto negli anni 1975 e 1976 quando una feroce propaganda ideologica e politica si abbatté sopra la parrocchia di Nostra Signora delle Grazie di Porto Amboim, riuscendo quasi a far chiudere le porte della chiesa. Allora Teresa divenne la leader dei fedeli che non si arrendevano alla situazione, sostenendoli, proteggendo coraggiosamente le strutture parrocchiali e tentando ogni possibile strada per avere di nuovo la santa Messa. Il suo amore alla Chiesa la rese instancabile nell’opera dell’evangelizzazione, sotto la guida dei sacerdoti.

Carissimi angolani, oggi nessuno dovrebbe più dubitare del fatto che le donne, sulla base della loro dignità pari a quella degli uomini, hanno «pieno diritto di inserirsi attivamente in ogni ambito della vita pubblica, e il loro diritto deve essere affermato e protetto anche mediante strumenti legali, là dove questi appaiano necessari. Tuttavia il riconoscimento del ruolo pubblico delle donne non deve sminuire l’insostituibile funzione che esse hanno all’interno della famiglia: qui, infatti, il loro contributo per il bene e lo sviluppo sociale, anche se poco considerato, è di un valore realmente inestimabile» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace nel 1995, n. 9). Peraltro, a livello personale, la donna sente la propria dignità non tanto quale risultato dell’affermazione di diritti sul piano giuridico, quanto piuttosto come diretta conseguenza delle attenzioni materiali e spirituali ricevute nel cuore della famiglia. La presenza materna all’interno della famiglia è così importante per la stabilità e la crescita di questa cellula fondamentale della società, che dovrebbe essere riconosciuta, lodata e sostenuta in ogni modo possibile. E, per lo stesso motivo, la società deve richiamare i mariti e i padri alle loro responsabilità  riguardo alla propria famiglia.

 

«Non hanno più vino» – dice Maria a Gesù. Carissime donne angolane, prendeteLa come Avvocata vostra presso il Signore. Così la conosciamo da quelle nozze di Cana: come la Donna benigna, piena di materna sollecitudine e di coraggio, la Donna che si accorge dei bisogni altrui e, volendo rimediare, li porta davanti al Signore. Presso di Lei, possiamo tutti, donne e uomini, ricuperare quella serenità e intima fiducia che ci fa sentire beati in Dio e instancabili nella lotta per la vita. Possa la Madonna di Muxima essere la stella della vostra vita; Essa vi custodisca uniti nella grande famiglia di Dio. Amen.

 

 

CERIMONIA DI CONGEDO

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda
Lunedì, 23 marzo 2009

Ringrazio Iddio di aver trovato una Chiesa viva e, nonostante le difficoltà, piena di entusiasmo, che ha saputo prendere sulle spalle la sua croce e quella altrui, rendendo testimonianza davanti a tutti della forza salvifica del messaggio evangelico. Essa continua ad annunziare che è arrivato il tempo della speranza, impegnandosi nella pacificazione degli animi e invitando all’esercizio di una carità fraterna che sappia aprirsi alla accoglienza di tutti, nel rispetto delle idee e sentimenti di ciascuno. È ora di congedarmi e di ripartire alla volta di Roma, rattristato per dovervi lasciare, ma contento di aver conosciuto un popolo coraggioso e deciso a rinascere. Nonostante le resistenze e gli ostacoli, questo popolo intende edificare il suo futuro camminando per sentieri di perdono, giustizia e solidarietà.

Se mi è permesso rivolgere qui un appello finale, vorrei chiedere che la giusta realizzazione delle fondamentali aspirazioni delle popolazioni più bisognose costituisca la preoccupazione principale di coloro che ricoprono le cariche pubbliche, poiché la loro intenzione – sono certo – è quella di svolgere la missione ricevuta non per se stessi ma in vista del bene comune. Il nostro cuore non può darsi pace finché ci sono fratelli che soffrono per mancanza di cibo, di lavoro, di una casa o di altri beni fondamentali. Per arrivare a dare una risposta concreta a questi nostri fratelli in umanità, la prima sfida da vincere è quella della solidarietà: solidarietà fra le generazioni, solidarietà fra le Nazioni e tra i Continenti che generi una sempre più equa condivisione delle risorse della terra fra tutti gli uomini.

E da Luanda allargo lo sguardo verso l’Africa intera, dandole appuntamento per il prossimo mese di ottobre nella Città del Vaticano, quando ci raduneremo per la II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata a questo Continente, dove il Verbo incarnato in persona ha trovato rifugio. Prego ora Iddio di fare sentire la sua protezione ed aiuto ai rifugiati ed espatriati senza numero che vagano nella attesa di un ritorno alla propria casa. Il Dio del cielo ripete loro: «Anche se la mamma si dimenticasse di te, Io invece non ti dimenticherò mai» (cfr Is 49, 15). È come figli e figlie che Dio vi ama; Egli veglia sui vostri giorni e sulle vostre notti, sulle vostre fatiche e aspirazioni.

 

INCONTRO CON I GIORNALISTI DURANTE IL VOLO DI RITORNO

PAROLE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

 

Volo Papale
Lunedì, 23 marzo 2009

 

Mi sono rimaste nella memoria soprattutto due impressioni: da una parte, l’impressione di questa cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa, e mi sembra che nel Papa hanno visto, diciamo, la personificazione del fatto che siamo tutti figli e famiglia di Dio. Esiste questa famiglia e noi, con tutti i nostri limiti, siamo in questa famiglia e Dio è con noi. Così la presenza del Papa ha, diciamo, aiutato a sentire questo e ad essere realmente nella gioia.

Dall’altra parte, mi ha fatto grande impressione lo spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso: Anche i movimenti erano sempre movimenti di rispetto e di consapevolezza della presenza divina. Questo ha suscitato in me una grande impressione.

Poi devo dire che sono stato profondamente colpito dal fatto che, venerdì sera nel caos formatosi davanti alla porta allo Stadio, sono morte due ragazze. Ho pregato e prego per loro. Purtroppo una di loro non è stata ancora identificata. Il Cardinal Bertone e mons. Filoni hanno potuto visitare la mamma dell’altra, una donna vedova, coraggiosa, con cinque figli. La prima dei cinque - quella adesso morta - era catechista. Noi tutti preghiamo e speriamo che in futuro le cose possano essere organizzate in modo che questo non succeda più.

Poi due altri ricordi rimasti nella mia memoria: un ricordo speciale – ci sarebbe tanto da dire – riguarda il Centro Cardinal Léger: mi ha toccato il cuore vedere lì il mondo delle molteplici sofferenze – tutto il dolore, la tristezza, la povertà dell’esistenza umana – ma anche vedere come Stato e Chiesa collaborano per aiutare i sofferenti. Da una parte lo Stato gestisce in modo esemplare questo grande Centro, dall’altra movimenti ecclesiali e realtà della Chiesa collaborano per aiutare realmente queste persone. E si vede, mi sembra, che l’uomo aiutando chi soffre diventa più uomo, il mondo diventa più umano. Questo è ciò che rimane iscritto nella mia memoria.