Ci sono due modi di reagire all'attuale crisi economica.
Il primo insiste sulla necessità di rilanciare i consumi, sostenere la fiducia dei mercati e dei consumatori, iniettare nelle economie risorse straordinarie. Si ammette la necessità di qualche correttivo, si valuta l'opportunità di più stringenti "regole del gioco", ma né gli ingranaggi del "giocattolo", né lo spirito che anima i "giocatori" vengono messi in discussione. Questo approccio ha nel Prodotto interno lordo il suo totem: oggi un calo del Pil, anche minimo, è vissuto come un incubo; domani un suo incremento sarà il segnale che la tempesta è finita.
La seconda modalità invita a riflettere anzitutto sul significato stesso del termine "crisi", che nella sua etimologia deriva dal greco krísis ("scelta", "scegliere") e che segnala - si legge nel dizionario - una "situazione di malessere o di disagio, determinata sul piano sociale dalla mancata corrispondenza tra valori e modi di vita".
Da qui alcuni interrogativi di fondo sui limiti del modello economico costruito negli ultimi decenni e sul tipo di sviluppo che la società globalizzata deve perseguire. Sono interrogativi che riecheggiano da più parti: nel mondo dell'associazionismo e in quello della cooperazione internazionale, nella riflessione culturale sia di stampo laico che religioso. Anche la Chiesa cattolica, anzitutto attraverso il Papa, non fa mancare la sua voce.
Si diffondono in particolare gli inviti a (ri)scoprire la sobrietà: un valore, e prima ancora un'esperienza, straordinariamente profondi. Lungi dall'essere riducibile a un banale "spendere meno", l'autentica sobrietà sa farsi stile di vita, modalità di stare nel mondo capace di vedere la realtà nella sua interezza e complessità, con uno sguardo libero da attaccamenti che imprigionano.
Sobrietà diventa allora sinonimo di uso non rapace delle risorse, nella consapevolezza che si esiste solo nella relazione con l'altro e che, nel mondo di oggi, le scelte di pochi hanno conseguenze su tutti (gli esseri umani) e su tutto (l'ambiente).
Sobrietà come requisito essenziale di un'autentica corresponsabilità e solidarietà, antidoto a un individualismo suicida.
Sobrietà, infine, come capacità di non essere spaventati dal futuro, come fondamento interiore di una vera speranza, ben diversa dalle effimere speranze che ci offrono i notiziari (il rimbalzo delle Borse, gli incentivi alla rottamazione...).
Nel Libro dell'Esodo, al capitolo 16, troviamo l'immagine della manna, il cibo che Dio dona al popolo di Israele nel deserto. Come fanno notare i biblisti, il dono della manna è accompagnato da una legge di sobrietà e di giustizia: Israele deve imparare a non vivere nella logica dell'accaparramento e dell'accumulo ("Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne"; "Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino»), aprendosi alla condivisione perché ognuno abbia secondo il bisogno ("Colui che ne aveva preso di più non ne aveva di troppo, colui che ne aveva preso di meno non ne mancava").
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